Non solo Gaza

Riflessioni del Governatore Generale in seguito al pellegrinaggio in Terra Santa con il Gran Maestro

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Foto articolo GG

Di ritorno dalla Terra Santa dove il Gran Maestro e il Governatore Generale si sono fatti tramite dell’offerta volontaria di circa un milione di euro che i Cavalieri e le Dame hanno fatto pervenire per l’emergenza in atto, il Governatore Generale Visconti di Modrone racconta di come gli aiuti siano necessari non solo a Gaza – dove per ora non è possibile inviarli – ma anche in Cisgiordania dove l’Ordine, affiancando l’azione del Patriarcato, sta sostenendo la popolazione che soffre le conseguenze economiche e sociali della guerra.


Non posso non condividere con i confratelli e le consorelle nel mondo le forti impressioni che mi ha lasciato il pellegrinaggio compiuto al volgere dell’anno con il Gran Maestro in Terra Santa. Non è stato un pellegrinaggio come gli altri. La tensione di un tempo nei Luoghi Santi fra israeliani e palestinesi si era trasformata nella guerra di oggi. Occorreva dare al Patriarcato un segnale di vicinanza in un simile momento di assenza di pellegrinaggi.

Ma le sensazioni provate sono state drammatiche: la Città Santa è vuota. Alla Basilica del  Santo Sepolcro i frati francescani ci hanno accolto con gioia ed offerto una cioccolata calda e qualche biscotto dopo il Sacro Rito celebrato di fronte alla Tomba del Risorto, ed hanno avuto agio di illustrarci i lavori di restauro in corso.

Percorrendo in tutta la sua lunghezza la Via Dolorosa, dalla Porta dei Leoni verso il Santo Sepolcro  abbiamo incontrato solo una suora che rientrava alla Chiesa di Santa Veronica ed un francescano che si è affrettato a sollecitare la nostra presenza alla processione che si sarebbe tenuta nel pomeriggio. Deserta la Chiesa di Sant’Anna, dove un pigro custode non ha avuto il coraggio di chiedere il pagamento del biglietto, chiusi il Museo della Flagellazione, abbandonato l’arco dell’Ecce Homo. Le prime nove Stazioni, segnalate sul cammino, ma di cui in passato mi erano sfuggite le piccole lapidi, distratto dall’allegro vocio e dalla confusione del passaggio, potevano essere un tranquillo punto di sosta e di  preghiera. Al Museo della Terra Santa una gentile suora ci ha aperto le sale che custodiscono i reperti accendendo per noi le luci.         

Botteghe e ristoranti sono chiusi: difficile trovare il modo di riportare un oggetto-ricordo a casa. L’unico trovato aperto non mi ha dato neppure la soddisfazione della tradizionale finzione di un negoziato sul prezzo. All’American Colony, la grande sala da pranzo con il camino acceso per un solo altro tavolo dove sedevano quattro eleganti signore verosimilmente consorti di diplomatici stranieri.

Al Notre Dame qualche persona, ma sulla porta del negozio un vistoso cartello segnalava che era chiuso. Pochi gli avventori al ristorante, forse l’unico aperto in città per Capodanno. La Porta di Giaffa, punto di transito da cui si diramano le strade che conducono al quartiere armeno ed  il cardo romano verso la moschea di Omar, letteralmente deserta. Bello poter pregare in silenzio ed a lungo sui Luoghi Santi, ma triste sapere che la ragione di questa assenza di pellegrini è la guerra.

Solo fuori dalle mura storiche della Città Vecchia, Gerusalemme sembra mantenere un’apparenza di normalità anche se il traffico non ricorda quello degli anni passati. Nei commenti della gente si ritiene che Gerusalemme sia meno colpita dai razzi di Hamas perché abitata da molti palestinesi e più lontana; meglio mirare su Tel Aviv perché più vicina e perché più “israeliana”. Domenica 7 gennaio 27 rockets sono stati sparati su Tel Aviv. Evitano Gerusalemme perché un terzo della popolazione di Gerusalemme è palestinese. Colpiscono più Tel Aviv dove la popolazione è più israeliana. Ma comunque anche qui in tanti narrano di aver visto di persona i razzi di Hamas sorvolare la città ed essere intercettati prima di colpire l’obiettivo.

3 gennaio (13)

Le celebrazioni liturgiche sono certo bellissime e solenni, con molta partecipazione ma i fedeli hanno gli occhi lucidi dalla commozione. Nei colloqui con i funzionari del Patriarcato il clima di guerra si fa sentire in ogni passaggio della conversazione. La prima osservazione che sento ripetere è che di Gaza si parla molto ma - si osserva -  vi sono pochi cristiani. Della Cisgiordania si parla meno, ma lì vi sono molti cristiani.

Le conseguenze delle misure adottate da Israele con gli insediamenti, l’offerta di lavoro a nuovi immigrati non palestinesi, la progressiva violazione delle misure che erano state previste dagli accordi di Oslo hanno creato esasperazione, disoccupazione e molta povertà in tutta la Cisgiordania.

La ricostruzione di Gaza sarà lunga: si prevede che sarà necessario un anno per rimuovere tutte le macerie e sette anni per ricostruire gli edifici. Ma la ferita nella Cisgiordania rischia di essere per l’Ordine del Santo Sepolcro ancor più onerosa, perché oltre a ridar vita all’economia occorrerà ricostruire nelle giovani generazioni la fiducia nella possibilità di continuare a vivere in quella terra.

In queste condizioni quali sono le prospettive per l’Ordine? Le necessità della comunità palestinese cresceranno. l’Ordine del Santo Sepolcro deve passare da una filosofia di aiuti ad una di “creazione di posti di lavoro” verso la quale ci stavamo già muovendo; inevitabile sarà dedicare i massimi sforzi alle attività umanitarie e pastorali. La ripresa dei pellegrinaggi deve avvenire appena possibile, cercando di riavviare il dialogo portando un messaggio di pace.

Occorre un approccio differente fra la situazione a Gaza e quella in Cisgiordania.

A Gaza finché sono in corso operazioni militari non possiamo intervenire. In Cisgiordania l’Ordine può incominciare la sua opera subito operando sul fronte umanitario e avviando dei “job creation projects” per ridare speranza di lavoro a chi l’ha perduto. La guerra è intervenuta quando la popolazione si stava riprendendo dal Covid. Molti che lo avevano ritrovato hanno riperduto il lavoro e l’attuale tasso di disoccupazione sorpassa ogni precedente, incluso il periodo del Covid.

In Cisgiordania, il Patriarcato possiede molte terre dove costruire mentre non ne possiede a Gaza. A Gaza tuttavia ci sono tre scuole cattoliche e forse l’edificio di una di esse potrebbe essere sfruttato come abitazioni.

A Gaza, a conflitto terminato, vi sarà una solidarietà internazionale per ricostruire quanto distrutto, ma l’odio generato in Cisgiordania sarà difficile da riparare. Sarà infatti difficile ricostruire il dialogo fra israeliani e palestinesi. L’esasperazione palestinese porta ad una loro identificazione con Hamas e certo lo stesso fenomeno avviene nella percezione di Israele da parte palestinese. La maggioranza della popolazione israeliana è infatti scivolata a destra ed  Israele nutre una profonda diffidenza contro tutta la popolazione palestinese non solo contro Hamas.

Nello stato di estremo disagio le strutture del Patriarcato continuano la loro opera di aiuti in tutte le direzioni. Gli aiuti in Cisgiordania sono stati rapidi. Il Fondo umanitario del Patriarcato sarà diviso in quattro settori operativi: 1) scuole; 2) aiuto sociale con contributi e buoni pasto; 3) intervento medico per operazioni straordinarie; 4) programma assistenziale medico per persone con malattie croniche. Molti dei nuovi progetti riguardano la job creation. Il loro scopo è aiutare le piccole imprese in Cisgiordania, mentre per Gaza una attività di job creation è prematura.

La visita del cardinale Filoni è vista come un volano che darà effetti benefici. Anche il ruolo del Patriarcato risulta accresciuto. La manutenzione degli edifici delle parrocchie è necessaria, ma più indispensabile è oggi la formazione e l’attività pastorale. Essa deve coinvolgere le giovani generazioni: ridare loro fiducia e legarle alla Terra Santa,  riducendo l’emigrazione.

Ci attendono quindi tempi difficili. Il nostro entusiasmo e la nostra fede non debbono diminuire.

Il coraggioso messaggio di pace e di dialogo del Cardinale Gran Maestro ci sia di ispirazione.


Leonardo Visconti di Modrone
Governatore Generale

(Gennaio 2024)