La consacrazione della nuova chiesa di Jubeiha in Giordania: un momento di gioia condivisa

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Consacrazione Jubeiha

Il 12 maggio il Cardinale Fernando Filoni, durante la sua visita in Giordania, ha consacrato la chiesa di San Paolo a Jubeiha, edificio sacro che l’Ordine ha ampiamente finanziato negli scorsi anni, su richiesta del Patriarcato Latino di Gerusalemme, rispondendo alle necessità della crescente comunità cristiana dell’area accanto ad Amman.

La gioia della comunità parrocchiale in questo giorno è una grande soddisfazione per i Cavalieri e Dame dell’Ordine del Santo Sepolcro che hanno generosamente contribuito a questo progetto e che si uniscono in preghiera alle intenzioni dei loro fratelli e sorelle cristiani in Giordania.

Di seguito l’omelia pronunciata dal Gran Maestro durante la messa di consacrazione.

 

Cara Eccellenza, Cari Confratelli del Sacerdozio,

Illustri Autorità civili e militari, Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,

La consacrazione di una Chiesa rappresenta sempre un momento assai significativo per la vita di una comunità cristiana. La presenza di un tempio sacro ci ricorda infatti il desiderio di Dio, prima ancora di quello degli uomini, di stare in mezzo al suo popolo, di vivere in mezzo ad esso, di accoglierne le preghiere e di parlare a ognuno che desidera ascoltare la sua voce. Il Vescovo Sant’Ireneo, Dottore della Chiesa, aggiungeva poi che la santità di Dio, la sua gloria, è l’uomo vivente, cioè l’uomo che prega e che esprime la ricchezza della sua fede nella Comunità; in questo modo non solo il singolo, ma tutta la Comunità vive il dono della presenza di Dio tanto nella vita personale, quanto comunitaria e persino nella storia. Una presenza che già si era cominciata a manifestare nella vita del Popolo che Dio si era scelto per dare inizio alla rivelazione, pienamente poi resasi visibile in Cristo attraverso la sua Incarnazione. Con l’Ascensione, Gesù non abbandonò l’umanità, anzi assicurò i Discepoli, e con essi tutti coloro che avrebbero creduto alla loro predicazione: “Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20); sono le parole conclusive del Vangelo di Matteo.

Gesù, fin dai primi momenti della sua vita, ebbe sempre una relazione privilegiata con il Tempio di Gerusalemme e con i luoghi di culto della Palestina. Da neonato fu portato al Tempio da Maria e Giuseppe, che poi frequentò da adolescente in occasione dei pellegrinaggi da Nazaret a Gerusalemme; durante la sua vita pubblica nella Città Santa, amava recarsi in quel luogo che definì “Casa del Padre mio” (Gv 2,16) e “Casa di preghiera” (Mt 21,13), riprendendo in modo forte coloro che l’avevano trasformata in un mercato. Il Tempio, in effetti, era il punto di riferimento della fede e dell’unità del Popolo di Dio e custodiva il sito più sacro in cui era collocata inizialmente l’Arca dell’Alleanza; Gesù versò lacrime, intravedendo le distruzioni e le sofferenze che durante i secoli avrebbe patito quel luogo e la Città Santa, eppure parlò di un nuovo “tempio del suo corpo” (Gv 2, 21), in relazione alla sua risurrezione, attraverso la quale avrebbe dato vita ad una nuova Alleanza e al nuovo Popolo di Dio.

Gesù amava i luoghi di culto, come le sinagoghe: in quella di Nazaret fu educato e lì, proclamando Isaia annunciò il compimento della profezia: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio … e proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19).

Anche gli Apostoli amavano pregare nel Tempio di Gerusalemme, dove iniziarono la loro missione evangelizzatrice, fortificati e illuminati dallo Spirito Santo che il Signore aveva inviato nella Pentecoste. Con quella predicazione prendeva forma il nuovo «Corpo spirituale» del Signore risorto, la Chiesa, come San Paolo avrebbe ben spiegato nelle sue Lettere ai Colossesi e agli Efesini: un nuovo Corpo, cioè la Chiesa, di cui Cristo è il capo e il principio e noi, attraverso il battesimo ne diveniamo membra viventi.

Questo edificio sacro in Jubeiha, che oggi viene consacrato, ha dunque lo scopo di riunire il Popolo di Dio in preghiera, è il segno della presenza divina che continua ad agire donando la sua grazia attraverso i segni sacramentali a coloro che la desiderano e rende viva la sua benedizione in questa Parrocchia.

Questo edificio sacro era divenuto opportuno e necessario fin dal momento in cui, circa quarant’anni fa, molte famiglie cristiane si erano trasferite in questo nuovo quartiere, provenendo da varie parti di Amman e da altri luoghi.  Il Padre Labid Deabis, che è stato parroco per 24 anni, e poi il P. Ibrahim Batarsa, hanno sempre sognato di avere un edificio sacro per la Comunità cristiana che qui si formava, abitava e che ora consacriamo, dedicandolo al più grande apostolo missionario, San Paolo.

L’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, qui rappresentato dal Luogotenente Generale, dal Governatore Generale e dalla Delegazione che mi accompagna, ha voluto venire incontro al desiderio del Patriarcato Latino assumendo gli impegni finanziari per la sua costruzione, sensibile alle esigenze pastorali della Parrocchia. L’Ordine del Santo Sepolcro, pertanto, in conformità alla missione affidata ad esso dai Sommi Pontefici, accanto al sostegno che annualmente dà alle scuole, dove frequentano ragazzi e ragazze cristiani e non-cristiani, accanto al sostegno alle opere caritative, ha voluto offrire questo Luogo di culto come segno di affetto e di incoraggiamento alla Comunità cristiana in Giordania. A tutti i Cavalieri e Dame, sparsi nel mondo, credo, va la comune gratitudine.

Ora voi, cari fedeli di questa Parrocchia, anche per il completamento di questa opera, assumete un compito importante. Benché relativamente minoritaria, la presenza cristiana, sarà e dovrà essere sempre una presenza profetica, cioè capace di annunziare il mistero di Gesù Figlio di Dio che porta la pace, la misericordia, il perdono, il rispetto dei diritti di tutti, la coesistenza e la fraternità tra i popoli. Il cristiano non fa del vuoto proselitismo, ma è il testimone della propria fede con l’esempio, l’onestà della vita, la carità verso i poveri e i bisognosi, l’attenzione verso gli anziani, specialmente se soli, gli ammalati, i carcerati. Questa è la nobile vocazione alla quale, cari fedeli di Jubeiha siete chiamati.

Ora tocca a voi, dunque, portare avanti la testimonianza di fede e di bene in questa vostra e nostra terra di Giordania, amata da Dio e benedetta dalla presenza di Gesù, che qui iniziò la sua vita pubblica.  La vostra sia una testimonianza di vera fraternità. Il Papa Francesco nel Documento sulla Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la Convivenza Comune, firmato ad Abu Dhabi con il Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019, ha detto che siamo chiamati ad essere strumenti di fratellanza tra tutte le persone di buona volontà, contro ogni forma di violenza, di sopraffazione, di aberrante estremismo, a volte incoraggiato dalle stesse religioni; la vostra sia una testimonianza della grandezza della fede in Gesù Cristo, che unisce i cuori ed eleva lo spirito umano al Signore.

Lasciatemi concludere queste pa-role col manifestarvi un sentimento personale di gioia nel consacrare questa Chiesa in Giordania, dove ho amici essendo stato Rappresentante Pontificio per cinque anni (dal 2001 al 2006).  Dio non permette gli eventi della vita quasi a caso, ma c’è sempre una logica, confondendo la nostra incredulità.

Invio un cordiale augurio di bene a Sua Maestà il Re, alla Sua famiglia e al nobile Popolo di questo Paese. Ringrazio le Autorità civili e militari per la loro presenza e il contributo specifico dato per la costruzione di questa Chiesa.

Ai sacerdoti, ai religiosi e alle re-ligiose, che ho imparato ad apprezzare durante la mia permanenza in Giordania, per la loro generosa testimonianza e dedizione apostolica, va la mia bene-dizione.

Fernando Cardinale Filoni
Gran Maestro

 

(12 maggio 2022)